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Pio Galli. Dalla parte dei lavoratori
Pio Galli è stato un noto sindacalista, prima al Caleotto storica fabbrica della città di Lecco, poi a Brescia e l'incarico di Segretario Generale della FIOM lo portò a Roma.
Nell'intervista racconta cosa lo ha spinto ad abbandonare le sue ambizioni professionali per dedicarsi alle battaglie per i diritti di tutti. Questa scelta gli costò non solo la carriera alla quale aspirava da ragazzo ma anche il posto di lavoro, infatti, lui ed altri membri della Commissione Interna, ritenuti scomodi, furono licenziati.
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Questa pagina riporta il contenuto dell'intervista raccolta da Isabella Lavelli nel 2005, nell'ambito dell'inchiesta "Sessant'anni Resistenti" e disponibile in versione restaurata su Youtube e in questo sito web.
Indice della pagina
Dai progetti di un ragazzo alla lotta per tutti
Nel 1946 io entrai al Caleotto, con alle spalle la partecipazione alla Resistenza e con un'idea, ancora piuttosto relativa, di impegno sociale e politico. In quel contesto io aspiravo da un lato a mettere a profitto quello che avevo imparato nelle piccole fabbriche e all'Elip e dall'altro a tessere rapporti con gli operai della grande fabbrica.
Al Caleotto, dove mio padre - che ci ha lavorato quarant'anni - era capo alla fossa di colata, io entrai, con altri tre, sulla base di una prova, di una specie di esame pratico in cui si dovevano dimostrare le proprie capacità. Il Caleotto in quei mesi assumeva operai generici per i reparti laminatoio, acciaieria, fornaci, ma c'era anche una grossa officina meccanica dove erano impiegati più di cento lavoratori tra tornitori, attrezzisti, meccanici, al banco ecc.. Io realizzai come "capolavoro" (così veniva chiamato l'oggetto da costruire come prova), un incastro a coda di rondine che venne giudicato buono e fui assunto come operaio qualificato.
Immaginavi già di diventare un sindacalista?
No. Il mio obiettivo, entrando al Caleotto, era quello di diventare operaio specializzato. Però già dopo pochi mesi di lavoro in questa fabbrica ero attratto da molte cose. Non avevo mai visto produrre l'acciaio e lì con i forni Martin il ciclo produttivo era completo, dalla materia prima al lingotto; non avevo mai visto trasformare il lingotto in laminati o in vergella. Restai impressionato, per la pericolosità, la pesantezza e la nocività del lavoro. L'officina meccanica, poi, non era un'officina di costruzione ma di riparazione degli attrezzi e degli impianti interni. In quel contesto, diventare operaio specializzato era per me un obiettivo realizzabilissimo, ma la mia attenzione fu attratta dal resto e in particolare dalle condizioni di lavoro, che erano condizioni molto peggiori di quelle che io avevo sperimentato nelle piccole e medie fabbriche.
Le condizioni di lavoro
Gli operai come reagivano a quelle condizioni di lavoro?
Con proteste e richieste di miglioramenti. Eravamo nell'immediato dopoguerra e, forse anche perchè sapeva di avere qualche colpa per quanto era successo durante il fascismo, il padronato, quando si trovava di fronte alle rivendicazioni che sorgevano spontanee dalla fabbrica, faceva qualche concessione, ma più di tipo paternalistico che di vero cambiamento della situazione.
A me quelle concessioni parevano insufficienti e fu così che cominciai ad interessarmi al miglioramento della vita in fabbrica e delle condizioni degli operai, dai quali venivano due richieste principali: maggior salario, che significava allora il passaggio da una paga di posto ( = cioè chi lavorava in un posto meno nocivo e meno pesante, meno pericoloso aveva una certa paga; chi invece lavorava in una posizione più esposta al calore, più nociva, più rischiosa aveva una paga superiore) ad un'altra e miglioramento delle condizioni di lavoro.
Le condizioni di lavoro erano così dure da diventare uno dei principali temi rivendicativi?
Sì, al Caleotto erano molto dure; si rivendicava di rimpinguare gli organici, perchè erano scarsi per un'acciaieria come il Caleotto, che non era a ciclo integrale ma a carica solida e cioè produceva l'acciaio dai rottami.
Nell'immediato dopoguerra arrivavano rottami contenenti residuati bellici tra cui spolette e parti di bombe inesplose, che ogni tanto scoppiavano dentro il forno, causando parecchi infortuni, alcuni anche mortali. Allora ci muovemmo per costringere l'azienda ad istituire una squadra per la cernita dei rottami prima della fusione, guidata da un artificiere. Sono nate così una serie di rivendicazioni che mi hanno attratto e mi hanno fatto mettere in disparte l'obiettivo di diventare un operaio specializzato per impegnarmi, nel rapporto con i lavoratori dei diversi reparti, a cercare di cambiare e migliorare le condizioni di lavoro. Lì nacquero in me la passione e l'impegno per l'attività sindacale e dopo qualche mese fui eletto nella Commissione Interna.
L'impegno sindacale
Dopo qualche anno di lavoro al Caleotto, vieni licenziato assieme ad altri otto membri della Commissione Interna, una vicenda ormai nota, e arrivi alla Fiom. E' il 1953; quale grado di sindacalizzazione trovi nelle fabbriche lecchesi, in città e fuori?
Quando nel 1953 fui chiamato a dirigere la Fiom provinciale, dovetti farmi carico di tutto il territorio dell'allora provincia di Como, perchè per quanto riguardava i metalmeccanici ed i metallurgici, la sede provinciale era a Lecco, mentre per quanto riguardava i tessili era a Como e questo, ovviamente, in dipendenza della distribuzione territoriale di questi due settori, che vedeva gli uni prevalenti nel lecchese e gli altri nel comasco.
Dunque, quando arrivai alla Fiom, mi resi conto del crollo organizzativo che aveva causato la scissione, che aveva comportato la perdita di oltre il 50% degli iscritti, cosa che dal Caleotto non si vedeva: infatti nelle piccole e medie aziende del territorio, nelle fabbriche tessili, in quelle della ceramica, nelle edili, insomma in tutte le altre categorie, non essendoci nelle fabbriche nè la Commissione Interna nè una presenza organizzata del sindacato, dopo la scissione era venuto meno ogni punto di riferimento. Qui, per dirla in breve, si doveva cominciare da capo.
Dopo il licenziamenteo con altri otto membri della Commissione interna, avvenuto nel 1953, inizia la sua esperienza di sindacalista: prima segretario provinciale della Fiom poi, nel 1954, segretario della Camera del Lavoro di Lecco. Nel 1962, lascia Lecco per diventare segretario della Fiom di Brescia e due anni dopo, su proposta di Bruno Trentin, viene eletto nella segreteria nazionale della Fiom con il compito di seguire l'organizzazione interna.
In questa posizione di grande rilievo vive gli anni esaltanti dell'autunno caldo e delle lotte che fanno ottenere agli operai un sensibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Vive da protagonista la fondazione della Flm e dal 1977 al 1985 è Segretario generale della Fiom. Nel 1985 viene eletto consigliere regionale, carica che copre fino al 1990, quando conclude la sua attività politico-sindacale.
Fonti bibliografiche

Galli P., 1997, Da una parte sola. Autobiografia di un metalmeccanico, Manifestolibri, Roma.