top of page

Home > Vite resistenti > Pino Galbani - scheda > Pino Galbani - approfondimento

Pino Galbani

Galbani è uno dei 22 lecchesi che furono deportati in Germania in seguito agli scioperi del 1944.
La sua è stata una Resistenza alla morte, una lotta per la sopravvivenza, che è significativo ricordare in questa pagina.

Gli anni della guerra

Cosa ricorda dei primi anni della guerra?
Lo ricordo come un periodo molto critico, soprattutto per la miseria e la fame. Tant'è vero che tutti nel 1944 abbiamo aderito allo sciopero perchè volevamo sì la fine della guerra, ma anche che terminasse quel periodo di stenti: la paga era misera e il cibo mancava. Ci passavano 2 etti di pane al giorno e si mangiava solo quello.
 
Questi scioperi, dunque, erano sia politici che economici?
Erano scioperi politici, volevamo che la guerra terminasse ed erano scioperi che rivendicavano una migliore condizione economica per gli operai. Lo sciopero del 1944 è costato la vita a 15 persone della Rocco Bonaiti. Hanno arrestato 32 operai della Rocco Bonaiti di cui 10 rilasciati, 22 deportati in Germania: 17 uomini e 5 donne. Ne sono tornati solo 7: 3 uomini e 4 donne. I due operai della File sono morti nel campo di Gusen. A Gusen sono morti anche Pietro Ciceri della Badoni e Alessandro Dell'Oro della Caleotto-Arlenico.

La deportazione

Lei è stato deportato a Mauthausen, come si viveva nel campo?
Raccontare della deportazione per me che l'ho vissuta non è tanto piacevole, vuol dire parlare di dolore, di sofferenza, di atrocità vissuta sul proprio corpo e sul corpo degli altri. Nel campo la vita cominciava al mattino presto e terminava alle 6 di sera; però non è detto che terminato il lavoro si poteva stare tranquilli. Di mattina c'era il controllo dei pidocchi, chi ne aveva doveva andare a fare il bagno. C'era sempre qualcosa, non si poteva stare dieci minuti in santa pace. Anche di notte, i tedeschi ci svegliavano, ci facevano uscire dalla baracca e ci facevano stare fuori all'aperto a fare ginnastica, anche se pioveva o nevicava. Poi al mattino alla 4 e mezza c'era la sveglia. Immaginatevi... in una baracca ci stavano dalle 300 alle 400 persone. Uscivamo tutti per andarci a lavare senza sapone, senza niente, non avevamo neppure di che asciugarci. Usavamo la camicia anche se era sporca. Poi si rientrava, bisognava vestirsi in tutta fretta e ci davano questo mezzo litro di caffè...chiamalo caffè, e poi in fila si doveva andare in piazza per l'appello. Aspettavamo che rientrassero quelli del turno di notte per poterli rimpiazzare. Ciò che dava fastidio non era tanto il lavoro pesante quanto i maltrattamenti. A mezzogiorno davano un litro di zuppa che poteva essere di spinaci, di patate, di crauti o di altro; ma il più delle volte era solo un liquido, che non serviva a niente, alla fine ci davano un pezzo di pane. La pagnotta dovevamo dividerla in tre o quattro pezzi, talvolta anche in dodici pezzi. Ci davano anche un pezzo di formaggio duro che ci spartivamo in dodici. Questo era il solo cibo che ricevevamo. Però mi ricorderò per sempre quel giorno, era il mese di agosto, una domenica pomeriggio, fu un giorno di gioia. C'era un uomo sdraiato che stava riposando, con una "T" posta sul triangolo rosso che tutti noi portavamo. Aveva il numero 120.000, io ero il 58.581. Ho pensato che forse era appena arrivato, l'ho chiamato e gli ho chiesto da dove veniva. Era di Lecco. Ho sentito una gioia immensa nel cuore, una sensazione inesprimibile, non saprei trovare le parole adatte. Gli ho chiesto il nome: "Bruges". Era figlio del capostazione di Lecco. L'avevano preso perchè stava con i partigiani. Era sceso dalla montagna perchè sua moglie doveva partorire. A causa di una soffiata l'avevano arrestato. Sapendo che lui lavorava in fabbrica gli ho chiesto di farmi un cucchiaio e io gli ho promesso che gli avrei dato qualche patata appena avessi potuto. E difatti mi sono recato nella sua baracca dopo 4-5 giorni portandogli 3 patate; la seconda volta non l'ho più trovato, era stato ricoverato in infermeria. Non ho più avuto occasione di incontrarlo. Non è sopravvissuto. E' morto.

 

Quelli che andavano nella baracca degli invalidi venivano eliminati?
Sì. A Gusen arrivavano continuamente prigionieri che il campo di Mauthausen non riusciva più a contenere; allora i tedeschi li mandavano a Gusen. A Gusen, quando arrivavano i convogli di deportati, per avere posto si eliminavano quelli che stavno nella baracca degli invalidi. Il ricambio era continuo. Nessuno voleva finire neanche in infermeria, neanche quelli più conciati perchè sapevano che il rischio di essere eliminati lì era certo.

 

Quando è tornato a Lecco?
Siamo stati liberati il 5 maggio. Sono giunto a Lecco una sera verso la fine di giugno. Con me c'era il mio amico Funes. L'altro compagno sopravvissuto, la sera stessa della Liberazione si era avviato a piedi verso l'Italia. Il ritorno è stato bello, il ritorno è sempre bello. Sono arrivato a casa di notte...La gioia, l'emozione provata in quel momento nel ritrovarsi ancora vivi. Assieme alla gioia ho provato anche dolore, perchè sapevo che i familiari o gli amici dei miei compagni sarebbero venuti a chiedermi dei loro cari. Non avevo il coraggio di dire come erano morti.
Nel periodo fascista ha conosciuto soprattutto in fabbrica delle persone che si opponevano al regime, persone legate ai partiti clandestini? Si avvertiva questa presenza?
Sì, sì si sentiva in particolar modo nei reparti in cui c'erano persone anziane che parlavano dei sindacati del prefascismo e delle Camere del Lavoro. Per noi giovani però erano tutte cose nuove, di cui non avevamo mai sentito parlare. I vecchi erano contrari al fascismo: c'era un'attività clandestina.

L'attività sindacale dopo la guerra

Finita la guerra ha svolto attività politica?
Attività politica vera e propria no. Ho sempre svolto attività sindacale facendo parte della Commissione Interna della mia fabbrica, la Bonaiti, e del comitato provinciale della FIOM. Sono sempre stato iscritto al PCI e ora sono iscritto ai Democratici di Sinistra. Mi sono impegnato come attivista dell'INCA (assistenza ai lavoratori, ai pensionati). Sono sempre stato iscritto al sindacato ma la mia attività vera e propria è cominciata nel '49.
 
Perché era ostacolata l'attività della Commissione Interna?
Perché la Commissione Interna difendeva gli operai dagli attacchi dei padronati. Il padrone trovava sempre dei motivi validi per licenziare gli operai e, più in generale, per attuare la sua politica di guadagno. Il nostro compito era quello di difendere gli operai per dar loro la possibilità di avanzare economicamente all'interno della fabbrica. Si trovavano anche delle difficoltà perché i datori di lavoro tendevano a pagare sottobanco.
 
Anche gli altri reduci di Gusen si sono poi iscritti al sindacato?
Sì, tutti iscritti al sindacato. Io non ho mai svolto attività politica pur essendo stato iscritto al PCI. Ho sempre cercato di far opera di proselitismo anche per il Partito.

bottom of page