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Vittoria Bottani

Nata a Milano il 3 agosto 1924 operò nella zona di Missaglia e Lecco e fu arrestata per associazione sovversiva. Restò in carcere a San Vittore fino alla Liberazione.

In casa arrivavano sempre gli antifascisti

Quando il duce parlava, affacciato al balcone di Palazzo Venezia, mentre gli altri applaudivano mio padre diceva: "Il pazzo parla". Mi faceva notare i suoi controsensi, la negatività della persona. L'Italia era povera, eravamo poveri e lui ha mandato i giovani in Russia, giovani che non erano attrezzati, aiutati... facevano pena a quelli che avrebbero dovuto combattere. In casa nostra gli antifascisti arrivavano sempre. Oltre a loro arrivavano tanti ragazzi che scappavano dal campo di concentramento di Bergamo e che sapevano che qui avrebbero trovato vestiti e qualcosa da mangiare. Poi io davanti e loro dietro, in bicicletta, si andava verso un passo, a Rovenna. Attraversavano un fosso ed erano in Svizzera. Mi ricordo che una volta un prete ci ha dato delle vecchie tonache. Io stavo accompagnando uno di questi ragazzi a Rovenna e lui, nonostante la tonaca che indossava, continuava a fischiare dietro alle belle ragazze che incontravamo lungo la strada. Ho detto: "Piantala insomma!". E lui: "Ma tu non sai, sono sei mesi che non vedo una ragazza". "E allora fai sei mesi e un giorno, se no io ti pianto qui!". 
 

Come avvenivano gli incontri con questi ragazzi?
Si doveva stare molto attenti. Qui a Missaglia c'era la sede della Brigata Nera, presso la casa dei Moneta a Caglio. Il comandante era Emilio Formigoni. Per arredare la loro sede hanno preso oggetti da tante case, da noi hanno portato via persino lo spargisale, il macinino del caffè, il portastuzzicadenti. Non solo i piatti, le posate e alcuni oggetti d'argento di valore che avevamo e che non ho mai più rivisto, nonostante ci avessero lasciato la lista delle cose prelevate. Spesso arrivavano di notte sperando di trovare qualcosa o qualcuno, per cui dovevamo stare molto attenti. C'era una specie di convenzione segreta: chi cercava rifugio sapeva dove andare, le case erano state scelte in modo tale che avessero tutte un giardino attraverso cui poter scappare. Qui da casa nostra era comodo: il cancello è là davanti, loro con un salto erano fuori nel prato, il terreno poi è diviso da una roggia per cui non potevano corrergli dietro con le macchine. Nella nostra casa abbiamo nascosto anche delle armi, nonostante fossimo proprio curati a vista. Tant'è che per uscire dal paese dovevamo avere un documento particolare in cui si specificava dove andavamo e il periodo di validità del documento stesso.

Poi una notte mi hanno scoperta

Ma nonostante tutte le attenzioni, lei è stata segnalata e poi c'è stata una spiata...
Sì mi avevano avvertita, mi avevano detto di non tornare a casa, ma non sono scappata perché altrimenti avrebbero arrestato mio padre e tutto si sarebbe ripercosso sulla mia famiglia. Era l'inverno del '44. Sono stata presa di notte, portata in una caserma a Como Borghi e poi messa a confronto con un certo Bernardini. Gli hanno detto: "E' questa quella che dicevi? E' lei?". E Bernardini, verdognolo, con la faccia lunga, grossa, gonfia, rosso, aveva le lacrime agli occhi come per dire: "Perdonami, perdonami!" Era stato torturato, conciato da sbattere via. Ovviamente a mio padre non fu detto nulla di dov'ero dove non ero. Alla fine ha saputo dov'ero e ha dovuto spendere un sacco di soldi ma alla fine lo hanno accompagnato da me, io ero in una cella, uno sgabuzzino senza aria, vedevo la luce solo quando aprivano la porta ed era un momento di terrore perché in genere l'aprivano per portarmi agli interrogatori...Ancora oggi vedere all'improvviso una luce nel buio mi spaventa. Mia sorella, quando va al bagno di notte, ci va a memoria, al buio. Una volta mio padre riuscì a portarsi dietro un amico che era il dottore della zona, De Domenico. Quando mi ha visto ha fatto subito rapporto, ha sporto denuncia. E' stato così che ho ottenuto la libertà provvisoria. Arrivata a casa mio padre si mise a piangere: "Oggi compio gli anni, un regalo così bello non l'ho mai avuto". Era il primo dicembre '44.


Con quale imputazione eri stata arrestata?
Correità in associazione sovversiva, per aver organizzato "dal giugno 44 in Missaglia un'associazione sovversiva che si proponeva di organizzare bande terroristiche e di favorire l'attività bellica del nemico al fine di sovvertire violentemente i poteri sociali costituiti nello Stato", come recita il documento... Il 18 aprile mi comunicarono che il mio processo era fissato per il 25 a Palazzo di Giustizia. Mi portarono a San Vittore, a Milano. Lì ero insieme ad altre detenute, non solo politiche ma anche civili, tant'è che le suore ci ammonivano noi politiche: "Ribelasc, site responsabili, state attente". Parlavamo tra di noi. Mi ricordo ancora il pasto, ce ne davano uno solo: una ciotola come quelle per i cani, sempre con riso e per verdura i ceci, ma ceci vecchi, secchi. Col cucchiaio di legno tiravamo su il primo strato dove galleggiavano i vermiciattoli e poi mangiavamo il resto con un cucchiaio di legno...ancora oggi non sopporto il cucchiaio di legno in cucina, nemmeno per rimestare...

 

Il giorno fissato per il suo processo è stato però un giorno particolare: il 25 aprile. Come è andata?
Si sapeva che c'erano in giro gli alleati, ma non altro. Io arrivai in tribunale ma il mio giudice non si era presentato. Intanto vedevo tutti gli altri giudici, gli avvocati che si toglievano la fascia bianco rosso verde, tiravano via il bracciolo con la croce uncinata...così mi hanno ricaricata su un furgoncino e riportata a San Vittore. A San Vittore tutti i detenuti politici aspettavano la mia condanna: se erano blandi con me forse andava bene anche a loro, se mi condannavano alla fucilazione allora... Ma quando gli ho raccontato quel che avevo visto...dal quarto raggio è salito un sol grido: "Vittoria, vittoria, vittoria!". E le suore "Sti quiet rebelasc!". Siamo state messe a matricola perché uscivamo grazie alla fine della guerra. Io ero con le due Brenna, le sorelle di Sondrio. Avevo preparato la borsa con i miei quattro stracci. Visto che loro due andavano fuori mi sono infilata dietro di loro. Sono andata giù alla matricola, l'impiegata non sapeva nulla così ci ha scarcerate tutte e tre... fuori c'era mio padre che mi aspettava dalle nove del mattino: era sicuro che sarei uscita, sì sicuro.

Fonti bibliografiche
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Ardenti E., La Resistenza rimossa. Storie di donne lombarde, Editore Mimosa, Milano (2004)

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