
3. I fatti di Giovenzana
Nell'ottobre del '43 a Giovenzana un parroco di nome Don Riccardo Corti si distinse per un grande atto eroico
Un gruppo di alcune decine di persone tra soldati italiani sbandati ed ex prigionieri di guerra, aveva trovato rifugio, nei giorni successivi all'8 settembre, sulle colline del San Genesio. Gli italiani attendevano il momento di tornare alle loro case o alla lotta, gli stranieri l'occasione di andare verso la Svizzera.
La risposta dei tedeschi e dei fascisti fu anche qui, come sul Resegone e sulla Grigna, immediata: il 30 settembre 1943 circa 350 SS tedesche spalleggiate dei fascisti iniziarono il rastrellamento della montagna alla ricerca di sbandati. L'azione durò due giorni, alla fine dei quali si contarono tre morti, due feriti e una trentina di partigiani prigionieri. Dei gruppi che si erano ritrovati organizzati su queste alture, il grosso riuscì a fuggire e a riorganizzarsi da altre parti. Intanto, sempre in quelle settimane del 1943, l'attivista comunista monzese Gianni Citterio insieme ad un altro dirigente dell'antifascismo monzese brianzolo, Amedeo Ferrari, fondatore del PCI nella sua città, raggiunse la località di Pra Pelàa, sopra ad Airuno, per organizzare il trasferimento in diversi luoghi di un discreto numero di russi e jugoslavi disertori della Todt, che erano stati inviati in quel “rifugio” dagli amici clandestini di Monza.
Don Riccardo Corti, parroco di San Donnino, martire in Giovenzana, Comune di Colle Brianza, aveva dato rifugio con l'aiuto della popolazione locale, a sette prigionieri alleati che erano fuggiti dal campo di raccolta di Grumello al Piano, nelle vicinanze di Bergamo e attendevano il momento opportuno per raggiungere la Svizzera. Il parroco procurò loro un posto dove dormire: cinque in una casa rustica del paese, altri due in una baita in località Pessina poco distante da Giovenzana. La proprietà di questi due stabili era del beneficio parrocchiale, perciò l'amministratore era il parroco.
Per procurare loro il cibo, egli invita la popolazione del luogo ad esercitare la prima opera di misericordia: “dar da mangiare agli affamati”. La popolazione rispose con generosità, esponendosi al rischio di rappresaglie e rinunciando al premio di 1800 lire promesso dai tedeschi per la cattura dei prigionieri di guerra. […]
Del resto, dopo l'8 settembre 1943 furono molti i prigionieri alleati fuggiti dei campi di raccolta, che trovarono rifugio sul Monte San Genesio.
Ricorda Luigi Brambilla militante partigiano della 104° brigata Garibaldi SAP "Gianni Citterio", in un’intervista rilasciata all’Esagono:
In quei tempi, abbiamo visto decine e decine di prigionieri di ogni nazione e colore passare nei nostri paesini della Brianza, dove la gente cercava di aiutare questi poveri uomini dando loro di che sfamarsi e vestirsi. Molti di essi riuscirono a passare il confine e parecchi furono accompagnati da noi prima che arrivassero i tedeschi e bloccassero la frontiera. Alcuni fuggiaschi furono ospitati anche nel paese di Giovenzana ad opera principalmente del parroco.
Così, con la tacita connivenza di tutti, si andò avanti per un mese fino alla domenica 10 ottobre 1943, giorno di San Donnino Martire, patrono di Giovenzana. Era quindi una festa molto sentita e partecipata dalla popolazione e anche i militari alleati, ormai in abiti civili, scesero nel piccolo centro del paese, per partecipare alla gioia e condividere le speranze di pace della popolazione. Ma purtroppo, la spiata di qualcuno segnalò ai tedeschi la presenza degli ex prigionieri alleati.
Il giorno seguente, 11 ottobre 1943, alle quattro del mattino il piccolo paese venne circondato da truppe e autoblindo delle SS tedesche e della Guardia Nazionale Repubblicana. Un drappello di soldati picchiò con il calcio del fucile alla porta della casa parrocchiale, si fece aprire e arrestò il parroco. Sopraggiunse anche il fratello del parroco, padre Ferruccio Corti del PIME, già missionario in Cina e anche lui venne brutalmente schiaffeggiato e strattonato via per la barba. Un altro drappello di SS della GNR circondò la casa dove erano ospitati i cinque militari ex prigionieri e prima che riuscissero a fuggire li arrestò, davanti a tutta la popolazione sgomenta e terrorizzata dal timore di una rappresaglia. I soldati salirono quindi alla baita di Pessina dove trovarono i due spagnoli José Martinez e Andrea Sanchez, che tentarono di fuggire ma furono uccisi e le loro salme riposano nel piccolo cimitero di Giovenzana.
Il paese fu minacciato di essere raso al suolo per aver prestato aiuto a militari fuggiti dei campi di prigionia. Don Riccardo Corti supplicò il comandante tedesco di non dare corso alla minacciata distruzione, assumendosi la responsabilità di aver dato asilo agli ex prigionieri. Giovenzana venne risparmiata, ma il coraggioso parroco fu processato e deportato a Mauthausen.
Questo testo è tratto dal libro:

Brambilla A., Magni A., Partigiani tra Adda e Brianza, 2005
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