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La cultura è un diritto

 

"Di cultura non si mangia" ebbe a dichiarare un poco lungimirante politico italiano. Un'affermazione che, stando a studi economici ormai verificati, risulta del tutto infondata.

 

Dal 2010 cerco di approfondire il tema del legame tra investimenti pubblici nel settore della cultura e sviluppo economico.

 

La mia riflessione ha preso avvio dallo studio degli atti del Forum Internazionale dei beni culturali e ambientali (Firenze, Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, 18-20 novembre 2010) e, in particolare, da uno Studio Strategico dal titolo “L'economia dei beni culturali e ambientali. Una visione sistemica e integrata”, che ha dimostrato come lo sviluppo del settore culturale italiano sia in grado di determinare importanti ricadute economiche ed occupazionali per il Sistema Paese ed il settore manifatturiero.

 

Nel corso dello  stesso incontro sono anche state elaborate 13 proposte concrete di intervento per un giungere ad nuovo “Rinascimento culturale” in Italia.

 

A partire dall'applicazione del cosiddetto "Florens index" ai sistemi culturali e creativi italiani ed europei è stato possibile verificare scientificamente che un investimento diretto di 100 euro nel settore della cultura ne genera 249 in termini di PIL e circa la metà del valore creato va ad accrescere settori industriali diversi da quello culturale.

 

Il settore culturale ha interessanti impatti sul sistema economico anche in termini occupazionali.

 

E' stato infatti individuato un moltiplicatore pari a 1,65: ovvero ogni tre occupati attivati nel settore culturale in senso stretto si generano 2 occupati al di fuori del settore.

 

Questi ragionamenti, in tempi di crisi, dimostrano come un impegno concreto delle istituzioni pubbliche avrebbe importanti ricadute sull'intero sistema economico. E' perciò corretto parlare di "investimento" nel settore culturale, un investimento a lungo termine con un rendimento che ha pochi eguali.

 

Approfondendo questo filone di studi sono arrivata alla formulazione del Ciclo virtuoso della cultura, uno schema che prende in considerazione anche ulteriori elementi al fine di giungere all'elaborazione di un modello per le politiche pubbliche mirato allo sviluppo economico a partire dal sostegno al settore della cultura.

 

Nel mondo si parla molto di questi temi, analizzando anche alcuni aspetti particolari.

Ad esempio Richard Florida, teorico americano di urban studies, ha elaborato la teoria delle tre T, individuando in Tecnologia, Talento e Tolleranza ingredienti fondamentali per lo sviluppo di una dinamica creative class, indispensabile allo sviluppo di un tessuto socio-economico fiorente.

La tematica della tolleranza chiama in causa anche il tema delle politiche sociali e relazionali oltre che culturali.

 

Un altro aspetto che ho ritenuto importante prendere in considerazione è il ruolo delle donne nella società e nei processi economici. Quanto costa in termini di PIL il fatto di lasciare fuori dal mercato del lavoro, soprattutto in tempi di crisi, alte percentuali di donne? E qual'è il valore che va sprecato insieme ai talenti delle donne a cui è precluso l'accesso a ruoli strategici?

Nel 1999 Kathy Matsuy, analista della Goldman Sachs, ha elaborato la teoria economica "womenomics" che dimostra come più donne entrano nel mercato del lavoro maggiore è la crescita economica di un paese e più alto è il tasso di crescita demografica.

 

Sviluppare il settore culturale, politiche di tolleranza, inclusione, pari opportunità non è solo un fatto eticamente positivo e moralmente auspicabile ma una vera e propria scelta di sviluppo economico.

 

Per approfondire:

- Florens 2010 [link]

- Presentazione di Valerio De Molli "L'economia dei beni culturali e ambientali. Una visione sistemica e integrata" [scarica .pdf]

- WOMENOMICS [link]

 

 

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